martedì 26 dicembre 2017

NEL CONSIGLIO PROVINCIALE E' NECESSARIO UN ASSESSORATO ALLE LINGUE MINORITARIE

LETTERA APERTA
ai CANDIDATI alla PRESIDENZA  e al CONSIGLIO della PROVINCIA DI BELLUNO:
Amalia Serenella Bogana; Massimo Bortoluzzi; Sisto Da Roit; Alessandro Dalla Gasperina; Francesca De Biasi; Franco De Bon ; Gianluca Lorenzi Ivan Minella; Pier Luigi Svaluto Ferro; Calogero Matteo Trinceri;
all’Assessore Regionale Gianpaolo Bottaccin
ai Sindaci dell’area dalla legge 482 (lingue minoritarie) della Provincia di Belluno
ai Presidenti delle Unioni Montane.
a tutti i mezzi di comunicazione.
OGGETTO: Nel nuovo Consiglio Provinciale riservare un assessorato specifico per le lingue minoritarie della Provincia di Belluno: Ladini e Cimbri.
In questi giorni l'Istituto “Ladin de la Dolomites” che rappresenta i ladini bellunesi che si riconoscono nella “Federazione dei Ladini del Veneto”, ha emesso un comunicato con il quale rende noto che dal 2018, dopo 14 anni di attività, per carenza di finanziamenti, non sarà più in grado di stampare il suo periodico “Ladin”, che sarà reperibile solo sul suo sito Web. Non solo: “I finanziamenti statali e regionali a favore delle minoranze linguistiche sono, purtroppo” scrive Ernesto Majoni direttore dell’Istituto, “sempre più ridotti e rigidamente incanalati; alcuni sportelli sono stati sospesi e risulta sempre più difficile proseguire diverse attività, diradando di conseguenza rapporti scientifici e di collaborazione con associazioni, enti, istituzioni. Gli sportelli mantengono comunque il proprio impegno a favore della lingua e della cultura del territorio ladino bellunese, affrontando grandi ostacoli ma riuscendo anche a conseguire ugualmente lusinghieri traguardi”. Questa non è altro che l’ennesima dimostrazione del disinteresse che sia la Regione Veneto che la Provincia di Belluno hanno sempre dimostrato nel rispetto della legge 482 che prevede la salvaguardia della lingue minoritarie (nel bellunese erano 3:Ladini, Gemanofoni e Cimbri, ora proprio per il disinteresse dei politici e amministratori bellunesi, ridotte a 2, avendo perso Sappada). La Federazione fra le Unioni Ladine rappresenta le associazioni culturali ladine presenti sul territorio dei 39 comuni perimetrati di minoranza ladina in Provincia di Belluno. Da anni sostiene le iniziative di promozione e valorizzazione culturale della lingua ladina e si sta impegnando in progetti che hanno come finalità il mantenimento della specificità del territorio. Tra queste iniziative c’è anche l'Istituto “Ladin de la Dolomites” che ha sede a Borca di Cadore. La Federazione crede che l’area di minoranza linguistica abbia bisogno di riconoscimenti e specificità più volte invocati da tutte le forze politiche, ma queste istanze non hanno mai ricevute avere adeguate risposte sia in ambito regionale, provinciale, comunale e delle Unioni Montane. Per queste ragioni, chiede nella fase di rinnovo del Consiglio provinciale del prossimo 7 gennaio 2018, chiede di “riservare un assessorato specifico per le lingue minoritarie della Provincia di Belluno: Ladini e Cimbri” che dovrà impegnarsi in prima persona per ottenere una revisione della legge regionale di tutela delle minoranze linguistiche simile a quella presente nelle regioni vicine. Sinora le minoranze linguistiche bellunesi sono sempre state trattate alla stregua di un'associazione dilettantistica, dimenticando il fatto che sono state riconosciute a livello nazionale con la legge 482 del 1999 e anche a livello europeo – vedi protocollo firmato dal presidente Monti nell'ottobre del 2011. Il fatto è solo politico ed è sintomatico della mancanza di cultura degli amministratori pubblici bellunesi inviati in Provincia e in Regione per difendere gli interessi e i diritti delle popolazioni di lingua minoritaria che popolano il territorio provinciale che si estende per la parte alta della Provincia di Belluno, l’area oggi chiamata le “Terre Alte” all’Altipiano del Cansiglio. Gli abitanti di questi comuni della provincia di Belluno non sono mai stati considerati dai loro amministratori come una forza da utilizzare per mantenere in vita i paesi dolomitici e fare forza su di loro anche per il mantenimento dei servizi al territorio. Il più delle volte sono stati sottovalutati e considerati dagli amministratori solo come un elemento folcloristico da esibire nelle manifestazioni e mai come una forza in grado di contrattare con la pianura per ottenere quanto la montagna ha diritto. Ciò a differenza di quanto è successo nella Regione Trentino Alto Adige, dove hanno ottenuto uno status tanto forte, tanto da avere anche una rete Rai apposita, alla quale -purtroppo- anche i ladini bellunesi sono costretti a riferirsi, non trovando appoggio nella propria provincia e tra i propri amministratori. I ladini di quelle province non sono stati traditi dai loro amministratori eletti nel consiglio Provinciale e ancora di più dai Consiglieri, Regionali. Un tradimento degli amministratori bellunesi che oggi la provincia di Belluno paga a caro prezzo, perché avendo dimostrato di essere senza una propria identità, ne ha subito le conseguenze: anche in fase di discussione e approvazione da parte del Consiglio Regionale della proposta di legge sul dialetto veneto, da quanto è stato possibile appurare, nessuna voce bellunese, si è levata in difesa delle minoranze linguistiche bellunesi esistenti sul proprio territorio. Oggi i comuni sono 34, perché i 4 Comuni di Livinallongo, Colle Santa Lucia, Cortina e Rocca Pietore si sono staccati dalla Federazione perché si considerano <storici> ed hanno costituito un loro Istituto. Da anni la Federazione sostiene le iniziative di promozione e valorizzazione culturale della lingua ladina e si sta impegnando in progetti che hanno come finalità il mantenimento della specificità del territorio. La Federazione crede che questa area di minoranza linguistica abbia bisogno di riconoscimenti e specificità più volte invocati da tutte le forze politiche ma mai condotte con la sufficente incisività e decisione tale da ottenere dei risultati. Perciò non sono mai state ottenute le necessarie risposte da chi dalla Laguna pretende di governare la montagna. Per tale motivo, nella fase della elaborazione del nuovo statuto regionale, la Federazione si era impegnata in prima persona chiedendo al Presidente della Consiglio regionale un riconoscimento specifico nello statuto della Regione Veneto ed una revisione della legge regionale di tutela delle minoranze linguistiche simile a quella presente in regioni a noi vicine. A questo scopo, dopo un assemblea unitaria tenutasi a Caviola, la Federazione fece approvare a tutti i comuni ladini una delibera da inviare alla Regione Veneto con la quale veniva chiesto alla Regione, che nella fase di elaborazione del nuovo statuto regionale, venisse previsto un consigliere riservato alle lingue minoritarie. La delibera fu approvata da tutte le amministrazioni comunali e inviata all'apposita commissione regionale, coinvolgendo nella proposta tutti i consigleri regionali bellunesi. Pur avendo interessato personalmente i Consiglieri regionali bellunesi, nulla è stato ottenuto e anzi proprio quest'ultimi hanno tenuto nei cassetti le richieste e le proposte dei loro elettori approvando uno statuto che escude completamente quanto chiesto dai ladini. La Federazione crede che uno sforzo da parte di tutti i rappresentanti istituzionali e culturali dell'area sia indispensabile per fare in modo che il nostro territorio riceva deleghe e specificità che permettano alla nostra gente di restare nelle valli dove è nata e mantenga cultura, lingua e tradizioni.


martedì 17 ottobre 2017

LA SCUOLA CADORINA TRADITA DAI SUOI AMMINISTRATORI

Una delle conseguenze più pesanti e sempre più gravi ogni anno che passa e che provoca quasi automaticamente l'abbandono delle frazioni più isolate e peggio collegate dai mezzi di trasporto  in  Cadore  è la difficoltà per i suoi giovani in età scolastica, di poter accedere alle scuole in tempi brevi, senza essere obbligati  a levatacce antelucane per compiere il tragitto scuola-casa. Questa è una delle cause che hanno portato al calo di oltre 30 sudenti nelle scuole cadorine, delle quali 20 del solo Polo scolastico Cadore. Sono  stati solo 120 (20 in meno dell'anno precedente) gli studenti delle prime classi dell'Istituto di Istruzione Superiore Enrico Fermi di Pieve di Cadore, appartenenti ai diversi indirizzi dell'Istituto, che mercoledì 18 ottobre, si sono ritrovati al campo sportivo di Sottocastello e abilmente guidati e assistiti dagli alunni-giudici della 4 A del Liceo scientifico, si sono affrontati amichevolmente in un percorso con varie prove ginnico sportive, calci di rigore, tria umana, giochi logico matematici e cruci-sport, per realizzarre anche quest'anno la giornata dell'accoglienza che l'Istituto ha organizzato per l'undicesima volta. “Dopo un mese di scuola, afferma il professore Roberto Tabacchi, l' Istituto Fermi ha fatto un primo bilancio delle attività arricchendo le sue numerose proposte con la consueta e consolidata giornata dell'accoglienza, riservata alle classi prime dei vari indirizzi. La manifestazione, giunta all'undicesima edizione, è stata introdotta dal vice preside professor Arturo De Bon, che ha rivolto alle classi partecipanti e ai docenti un caloroso saluto e un augurio per il prosieguo dell'anno scolastico. Una magnifica giornata di sole ha accompagnato gli alunni per tutta la mattinata. Il clima festoso e il comportamento sempre educato e corretto, anche grazie al coordinamento dell'insegnante di educazione fisica, Cecilia Barnabò, ha contribuito alla riuscita della manifestazione. Le classi si sono distribuite le affermazioni nelle varie attività: il risultato finale ha visto prevalere gli alunni dell' ITI.

sabato 14 ottobre 2017

LA LINEA FERROVIARIA DEL CADORE

LA LINEA FERROVIARIA  DEL CADORE DELLA QUALE NESSUNO PARLA
Il nostro blog sulla ferrovia pubblicato il 19 settembre 2017, ha fatto sobbalzare sulla sedia più di qualche amministratore pubblico, perché ha evidenziato un problema reale al quale nessuno aveva fatto caso: il costo della terza via è troppo alto e di conseguenza difficilmente la Regione Veneto lo finanzierà, anche perché la sua costruzione sarebbe la spesa minore. Il costo reale della infrastruttura non sarebbe la sua costruzione, ma il suo esercizio. Lo dimostrano i bilanci delle linee ferroviarie dell'Alto Adige, come ha sempre affermato il suo presidente Arno Compatcher: "Le valli dell'Alto Adige sono fiorenti e molto frequentate proprio perché sono percorse dalle linee ferroviarie, le spese delle quali per arrivare al pareggio sono però  finanziate dalla Provincia di Bolzano". Lo ha riconosciuto anche il sindaco di Valle che non ha firmato il documento. Il presidente della Magnifica Comunità di Cadore Renzo Bortolot ha comunque ragione quando parla di linea ferroviaria di collegamento con lo scopo di trarre dall'isolamento il Comelico e Auronzo. E', allora, necessario ripensare alle motivazioni per le quali questi territori vogliano un collegamento ferroviario: non più linea turistica, ma linea passeggeri e merci normale. In pratica ritornare al progetto della linea ferroviaria dell'ingegnere Cella redatto nel 1925-26 per collegare Villa Santina con Cimagogna e la Pusteria. E', quindi, necessario scindere il desiderio di una ferrovia in Cadore in due parti: una linea veloce che attraverso la Valle del Boite prolunghi la ferrovia attuale fino a Cortina d'Ampezzo e una linea a  scartamento normale che  colleghi l'attuale terminal - stazione ferroviaria di Calalzo- con Cimagogna e con il Comelico. In questo caso potrebbe benissimo essere  presa in considerazione quella che oggi è indicata come la "terza via". Una linea che vedrebbe la possibilità di realizzare anche il collegamento Carnia -Cadore, da sempre auspicata da Udine. Nel primo caso: una linea veloce attraverso la Valle del Boite, partendo da Perarolo e non da Calalzo, potrebbe portare i turisti a Cortina in 20-25 minuti, conservando anche la "panoramicità" auspicata dal Presidente Bortolot. Con quel tragitto, infatti, non sarebbero più necessarie tre gallerie: la Calalzo di 1630 metri, la galleria Pieve di 4800 metri e la Colmao di 6830 metri. Se realizzata sulla sponda sinistra del Boite non sarebbe nemmeno necessaria la Galleria Antelao di 4500 metri. Quindi la linea riprenderebbe il carattere di treno turistico veloce e panoramico. Sarebbe dunque da rifare il progetto tenendo presente che la linea dovrà essere leggera e diverrebbe molto meno costosa di quella preventivata sinora. La linea  oggi indicata come la "terza via",  avrebbe senz'altro una funzione socio-economica  molto importante, anche perché oltre che a collegare alla linea ferroviaria il Comelico, quindi aprire allo sviluppo tutta la vallata.   Inoltre sarebbe economicamente promettente il collegamento Auronzo -San Vito, visto come la porta di accesso a Cortina.  Da non dimenticare  in prospettiva la possibilità che  questa linea offrirebbe per un collegamento con la Carnia, tramite un tunnel stradale da realizzare sotto il Passo della Mauria, traendo finalmente anche le sue vallate da un isolamento secolare. Un isolamento aumentato  dalla chiusura della linea ferroviaria Villa Santina -Tolmezzo avvenuto nel 1968. Una linea che nel 1928-29 aveva visto la prospettiva di potersi collegare con il Cadore. Lavori che addirittura iniziarono, per essere poi bloccati dalla crisi economica del 1929. Probabilmente i sindaci cadorini che hanno pensato alla "terza via" ferroviaria non frequentano la Carnia: si sarebbero accorti che da molti decenni l'unico argomento che impedisce agli abitanti di Forni di Sotto e di Sopra di lasciare i loro paesi, sempre più poveri e deserti, è stata la possibilità di trovare posti di lavoro in Cadore, molti dei quali negli ultimi anni sono scomparsi. E' per questo che stupisce la posizione di chi vuole regalare al Friuli Venezia Giulia la conca di Sappada, certamente molto più ricca della Carnia. 

martedì 19 settembre 2017

LA SOLUZIONE PER LA LINEA FERROVIARIA DELLA QUALE NESSUNO PARLA

CADORE
Avevamo ragione noi: anche l'assessore regionale ai trasporti De Berti è su questa linea!
"Quella ferrovia non s'ha da fare e probabilmente non si farà"almeno fino a quando i responsabili del pensiero cadorino corrente, non capiranno che è indispensabile una voce sola e che questa voce non proponga una soluzione irreale ed economicamente non  valida: lo dimostra l'incontro tenuto in Magnifica Comunità di Cadore giovedì 18  agosto che  ha fatto ritornare in mente quanto sosteneva l'Assesssore Regionale ai Trasporti Fabbris, quando sul tappeto era stato posto il prolungamento della linea ferroviaria Ponte nelle Alpi -  Calalzo: "ho l'impressione che gli amministratori cadorini siano come i galli manzoniani di Renzo Tramaglino, che a forza di beccarsi  sono  riusciti a farsi tirare il collo" (se qualcuno vuole ascoltare la registrazione di allora, fatta per Radio Cortina, deve solo chiedere). Dall'esterno oggi i cittadini hanno l'impressione che le discussioni tra i sindaci siano approdate allo stesso risultato: dopo tanto discutere e dopo aver messo sul tappeto la terza soluzione, la Regione Veneto prenderà la stessa decisione: tirerà il collo ai galli, ovvero deciderà di non fare più nulla e lascerà il Cadore in attesa di una linea ferroviaria che non sarà mai costruita perché troppo costosa da costruire, troppo onerosa per la sua gestione perché inutile. Differente sarebbe stato, invece, se il problema fosse stato affrontato senza i paraocchi del campanilismo, un  cancro che sta distruggendo il Cadore. Sono due i temi che nessuno in questi anni ha mai portato in discussione: il primo è il perdurare dell'isolamento  del Friuli Venezia Giulia nei confronti del Cadore e della Val Pusteria; il secondo è  la perdita di tempo imposta al treno e agli autobus nel percorrere due volte nello stesso viaggio il tragitto dalla stazione di Perarolo a Calalzo e viceversa. Un allungamento del viaggio di almeno mezzora tra la partenza del treno dalla stazione di Perarolo, il suo arrivo a Calalzo e poi - a parte l'attesa per la coincidenza con l'autobus della Dolomitibus-l'arrivo alla stazione delle autocorriere nel Piazzale Dolomiti di Tai, dove inizia la linea automobilistica della Valboite. Il sindaco di Cortina, durante l'incontro con l'Assessore De Berti ha affermato che a lui non interessava quale strada percorresse il treno, ma la sua esigenza era solo quella della durata  del viaggio da Venezia a Cortina. Tanto, ha aggiunto, sono sicuro che entro 10 anni la ferrovia arriverà comunque a Cortina, se non da Venezia, da Bolzano, Questo  perché quando sarà terminata la nuova linea del Brennero, i turisti in arrivo dal Nord Europa dovranno pur andare da qualche parte e Cortina sarà la meta privilegiata. Perché ogni sindaco vuole la ferrovia sotto casa? E intanto non affrontano problemi come quelli della scuola e da anni consentonio la fuga di oltre 140 studenti a Belluno?
Cosa fare, allora?  Ne parleremo in un prossimo Blog.







martedì 5 settembre 2017

PERCHE' MARIO MANFREDA HA RINUNCIATO ALLA CANDIDATURA ALLA PRESIDENZA DELLA PROVINCIA DI BELLUNO

Amici amministratori,
consentitemi di iniziare questa mia lettera aperta con una nota di sano
ottimismo dettato dalla convinzione che, nonostante tutti i limiti politici e
congiunturali, la nostra Provincia può aspirare a diventare la protagonista di
un progetto ambizioso. Ne sono certo nonostante si sia fatto e si stia facendo
di tutto per svuotarla di contenuti e di risorse finanziare come fosse un inutile
centro di spesa.
Come le altre Provincie, anche quella di Belluno è stata trasformata da
Provincia elettiva ad ente di secondo grado governata dai sindaci.
Contemporaneamente le Provincie d’Italia hanno subito attacchi continui dai
poteri centrali nazionali e regionali.
Poi è arrivata la legge Delrio che riconosce una particolare attenzione alle tre
provincie interamente montane che sono tre e una è la nostra. Però agli
enunciati non sono seguiti i provvedimenti di governo per attuare quella
specificità promessa dalla legge.
Anche il nuovo Statuto della Regione Veneto, con la legge numero 25,
riconosce alla provincia di Belluno specificità e trasferimento gestionale di
funzioni.
Provvedimenti vuoti e promesse al vento sia da parte del governo centrale
che da quello regionale che, con arroganza, si sta riprendendo le deleghe di
cui ha convenienza come quella riguardante la gestione faunistica. Una
decisione che lascia attoniti e preoccupati.
C’è da dire però che nessuno ha protestato. In altri tempi saremmo scesi in
piazza per difendere quello che ritenevamo una nostra prerogativa.
Basta!
La Provincia del futuro non deve più accettare queste provocazioni. Non deve
più arrendersi alle arroganze di Venezia e di Roma.
La Provincia del futuro deve lavorare per l’unità e il referendum
sull’autonomia è senza dubbio uno strumento a cui credere e per cui lottare
Insieme dobbiamo superare l’oramai annoso rapporto di sudditanza e
subalternità con Venezia e con Roma. La nuova Provincia deve farsi carico
delle diverse situazioni in cui si vengono a trovare i Comuni del bellunese.
Solo così è possibile evitare che ogni amministratore, ogni rappresentante di
ente e di categoria, per proprio conto, si rechi dall’assessore regionale di
turno, con il cappello in mano, da suddito, a chiedere favori, concessioni,
finanziamenti, un occhio di riguardo.
Basta!
Non è più tollerabile che a Venezia e a Roma si rifiutino di capire che vivere
in quota, in pendenza, è più complesso e costoso che in pianura. E sono in
pochi a rendersi conto che la salute della pianura è direttamente
proporzionale alla salute della montagna. A questo proposito, qualche anno
fa, Mario Rigoni Stern ricordava che quando l’ultimo montanaro se ne sarà
andato, le ortiche invaderanno anche Piazza San Marco.
Il nuovo Consiglio provinciale dovrà impegnarsi in tutti i modi per far capire
questo. Altrimenti continueremo a parlare linguaggi diversi e non ci capiremo
mai.
La nuova Provincia dovrà rivolgere un’attenzione speciale allo sviluppo
armonico dei vari territori.
Oggi con lo sviluppo dell’occhialeria e la metalmeccanica il territorio
bellunese figura tra i più competitivi, con tassi di industrializzazione tra i più
alti d’Italia e con produzioni di eccellenza. E qui l’iniziativa privata va elogiata,
incoraggiata e appoggiata.
E’ nei confronti dell’agricoltura che la Provincia deve scendere in campo in
maniera decisa. Le attività del settore primario sono diventate residuali e così
il territorio è stato abbandonato e rinselvatichito. In pericolo anche i paesaggi,
quelli plasmati in millenni dai montanari. Su questo versante c’è bisogno di
una regia capace di sollecitare, progettare, cercare finanziamenti, valorizzare
le esperienze di giovani che stanno tentando di fare impresa in montagna. Se
non lo fa questo ente chi lo farà?
Collegato all’agricoltura c’è il turismo. Non possiamo dimenticare che questo
settore rappresenta la più grande opportunità per la nostra Provincia. Dolomiti
Patrimonio dell’Umanità è un riconoscimento e un marchio che non è stato
ancora messo bene a frutto. Il settore del turismo richiede un grande
progetto partecipato nella fase costitutiva e richiede un impegno collettivo
nella realizzazione. Per questo motivo a decidere le strategie turistiche della
montagna bellunese dobbiamo essere noi!
Il tema dell’energia e dell’uso sostenibile della risorsa idrica ha una rilevanza
fondamentale per lo sviluppo dei nostri territori. Per questo motivo non può
essere regolamentata e normata solo da Venezia, Roma e Bruxelles, da
attori cioè che non vivono sui territori montani dove nasce la risorsa idrica.
Questioni importanti riguardano la rifunzionalizzazione dei corsi d’acqua, i
rinnovi delle grandi concessioni e i pagamenti eco sistemici ai territori che
continuamente vengono messi in discussione dagli utilizzatori
Chi ha difeso i Comuni e la Provincia di fronte alle riduzioni dei canoni e
sovra canoni in seguito alla delibera regionale di qualche tempo fa?
La nuova Provincia deve far capire, anche con energica determinazione, che
la montagna ha diritto di decidere cosa fare delle proprie risorse e come
utilizzarle in modo sostenibile per il benessere delle comunità locali!
Altro tema riguarda la mobilità. E’ fondamentale migliorare i collegamenti
intervallivi e portare a compimento i progetti ferroviari di cui stiamo
discutendo in queste settimane.
Altra priorità è la sicurezza dei nostri territori relativamente alla difesa del
suolo. Quando la montagna si spopola e mancano i presidi umani le fragilità
idrauliche dei territori si accentuano e i costi diventano insopportabili. Cortina
Auronzo, San Vito, Borca, Santo Stefano, San Pietro, Rocca Pietore, Alpago,
Lozzo ne sono la testimonianza. Queste fragilità mettono continuamente in
discussione la sicurezza della nostra gente e anche quella di chi frequenta
per turismo le nostre località.
La nuova Provincia se ne deve occupare di più e meglio. Ma non senza soldi
e senza il personale di settore. Lo devono capire bene la Regione e lo Stato.
Per la pianura saranno importanti il Mose o la Pedemontana, per noi sono
fondamentali le difese idrogeologiche contro le frane di Borca, San Vito,
Cortina, Santo Stefano, Lozzo, Rocca Pietore, Alpago, Auronzo.
La difesa del suolo è di competenza provinciale e potrebbe esserlo anche il
Genio Civile. A due condizioni però: che la nuova Provincia riceva da Venezia
tutte le risorse necessarie e che sia la Provincia a trattare direttamente con il
Ministero dell’Ambiente e con la struttura della Protezione Civile presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere le risorse necessarie.
Se siamo speciali per la Delrio e per lo Statuto regionale, lo Stato e la
Regione devono dimostrarcelo senza titubanze, temporeggiamenti e furbate.
La nuova Provincia deve poi impegnarsi per rilanciare l’intera partita della
Formazione dei nostri giovani. Solo così si contribuirebbe ad arginare lo
spopolamento delle nostre valli. Altra partita fondamentale da giocare
riguarda i servizi socio sanitari che sono gli indispensabili presidi per le
popolazioni in montagna. E’ diventato fondamentale coordinarne con
autorevolezza la difesa e lo sviluppo per garantire alla nostra gente pari
dignità e pari opportunità rispetto alle genti della pianura.
Sono questi i temi per i quali intendevo impegnarmi quando ho preso la
decisione di mettermi a disposizione. Da sempre sostengo la necessità di un
progetto unitario per il bene di tutti i bellunesi.
Altro motivo che mi ha sollecitato a rendermi disponibile è venuto dalla
preoccupazione che il percorso intrapreso per eleggere il nuovo presidente
della Provincia con una sola candidatura non unitaria avrebbe frammentato
ulteriormente le realtà amministrative del territorio.
E poi mi ha profondamente amareggiato dover constatare che chi ha gestito
la partita lo ha fatto dimostrando arroganza dettata dalla forza dei pesi
elettorali, insensibilità e scarso senso di democrazia partecipativa.
Il tutto mi ha convinto che fosse necessario lanciare un sasso nello stagno. E
devo dire che questa mia scelta ha costretto i media e le forze politicoamministrative finalmente a parlare di Provincia. Personalmente avrei
desiderato confronti pubblici nelle varie realtà territoriali tra i candidati e i
protagonisti dell’economia e del mondo sociale. Sarebbe stata un’opportunità
da cogliere e da sfruttare. Ne ero talmente convinto che l’ho proposto
insistentemente a tutti, compreso Roberto Padrin. Nessuno ha accolto l’invito.
A questo punto mi sono reso conto che la mia candidatura contribuirebbe
soltanto a dividere ulteriormente le nostre Amministrazioni comunali tra di loro
e dentro a loro. Per questo ho deciso di ritirarla auspicando che
dall’appuntamento del 10 settembre possa sortire quel sussulto unitario che
rappresenta la sola forza in grado di difenderci e di aiutarci a guardare al
futuro con un po’ di ottimismo. Dobbiamo però esserne convinti imponendoci
un gioco di squadra. Solo così saremo protagonisti e non succubi. Solo così
avremo la forza di fare, con coraggio, le scelte giuste per la nostra gente e
solo così potremo pretendere quanto ci è dovuto come Aldo Moro ricordava
già nel lontano 1966 a Santo Stefano di Cadore” La provincia di Belluno
chiusa tra due regioni a statuto speciale va particolarmente aiutata”. Soltanto
le azioni collettive lasciano il segno nei territori e nell’animo di chi li abita.

Lozzo di Cadore 5 settembre 2017
Mario Manfreda


martedì 30 maggio 2017

CHI ODIA PIEVE DI CADORE A TAL PUNTO DA CONDANNARLO AL DEGRADO ECONOMICO E MORALE?

E' ciò che pensa chi, in questi giorni cruciali per cercare un'amministrazione  comunale efficiente e  in grado di farlo risalire dalla china dov'è scivolato in questi mesi, sente negli ambienti più disparati, anche da persone nelle quali avrebbe fiducia, l'invito a disertare le urne l'11 giugno, dove c'è in lizza una sola lista. Dunque, ci risiamo: il  tentativo di non consentire il raggiungimento del quorum che era miseramente fallito nelle elezioni del 2012, viene riproposto nuovamente, creando una campagna di diffamazioni e di bugie tali da convincere i cittadini più deboli a non recarsi a votare. Tra l'altro, con un'azione riprovevole, queste persone che non sono capaci di fare altro che maldicenza, stanno cercando anche di mettere in bocca al sindaco Maria Antonia Ciotti parole che lei non ha mai pronunciato. 
  E' l'azione di gruppi di potere che in altri luoghi d'Italia prendono il nome di mafia o di conventicole. Non hanno colore politico: sono persone inqualificabili   che dopo aver convinto molti cittadini possibilisti a non presentare una seconda lista civica o di partito, fanno leva sulla loro potenza economica o sociale per non consentire la costituzione di un consiglio comunale regolare, in grado di prendere quelle decisioni necessarie per riportare l'economia al livello di alcuni anni fa. Sono le stesse organizzazioni che hanno spinto a votare NO! al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, senza spiegare alle persone succubi della televisione e dei discorsi da bar, in che palude saremo finiti. Ora, dopo aver demolito anche moralmente i cittadini del Comune di Pieve, questi gruppi si stanno impegnando, invece che per fare una lista alternativa a quella che è stata presentata il 29 marzo, a nascondere quella faccia che non  hanno avuto il coraggio sottoporre  al giudizio dei cittadini elettori. Lo fanno nel modo più subdolo: nascondendosi dietro a persone rispettabili per essere più convincenti. Oggi, vorrebbero commissariare nuovamente-sarebbe la terza volta- il Comune di Pieve. Per quali motivi? Forse perché si aspettano di saccheggiarlo come hanno fatto nei decenni passati e farne pagare le spese ai cittadini più deboli? Una situazione che è stata  evidenziata dall'impossibilità di formare una seconda lista anche da parte di una persona che ha dovuto abbandonare il suo tentativo a causa della mancanza di senso civico e di amore per il proprio paese, portandolo al fallimento.  Ho metaforicamente bussato a decine di porte", ha affermato questa persona,  "alcune hanno aperto lasciando però la catenella di sicurezza, tante altre non hanno neppure aperto, facendo addirittura segno scaramantici di scongiura  alla mia proposta.  Quale sia la “paura” non me lo so spiegare". Purtroppo le porte chiuse non lo sono a caso, ma su suggerimento di qualche gruppo, che forse in cambio ha promesso un posto di lavoro oppure un altro favore. Votare è un diritto ed un dovere sanciti da quella Costituzione Italiana per la quale è stata invocata la difesa al voto referendario, ma che ancora non è attuata nelle parti che danno gli stessi diritti ai cittadini. Chi invita un suo simile  a non votare  priva questa persona di un  diritto  sacrosanto conquistato dal Popolo Italiano con il sangue e con il lavoro e non agendo da carbonari ma alla luce del sole. Nessuno può essere invitato a disertare le urne, senza commettere un reato nei confronti della persona alla quale si rivolge. Fatevi coraggio, cadorini, il voto è una conquista, compresa la decisione di votare scheda bianca se la proposta non è condivisa.




lunedì 9 gennaio 2017

L'ESPERIENZA DI ACCOGLIENZA DELLA COOPERATIVA SOCIALE CADORE

Pieve di Cadore, 4 gennaio 2017
CS 1/2017
 Arrivo di richiedenti asilo ad Auronzo di Cadore, la Cooperativa Cadore Scs non sta operando per gestirne l’accoglienza. La Cooperativa Cadore Scs, dal 2011 impegnata nella gestione dei richiedenti asilo giunti e ospitati in territorio cadorino, tiene a fare una precisazione in merito all’articolo apparso martedì 3 gennaio sul Corriere delle Alpi. Sul “tavolo” il molto probabile arrivo di una quindicina di profughi ad Auronzo di Cadore. «Nell’articolo si legge che i profughi in arrivo “potrebbero essere affidati alla Cooperativa Cadore, come già in altri paesi del territorio”. Precisiamo che non è così», fa presente Luca Valmassoi, responsabile settore turismo della Cadore Scs. «Siamo intervenuti più volte per trovare alloggi. E siamo sempre alla ricerca di nuove sistemazioni. Sistemazioni che, secondo il modello adottato da noi sin dall’inizio, ossia quello dell’ospitalità diffusa, sono per piccoli gruppi. Ma non in questo specifico caso. Ad Auronzo non è la Cadore Scs ad occuparsene, ma saranno altri soggetti. Non abbiamo notizia su chi interverrà, ma possiamo dire per certo che non siamo noi». E la realtà cooperativa nata nel 2008 a Valle di Cadore - con lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità tendendo all’integrazione sociale - coglie anche l’occasione per fare un bilancio dell’attività svolta in questi ultimi anni nel campo della gestione dei richiedenti asilo. «Sin dal 2011 è stato adottato il modello dell’ospitalità diffusa», ribadisce Valmassoi, «ossia piccoli gruppi dislocati in diverse zone: si tratta del modello che paga di più in termini di integrazione».
Considerata la sempre maggiore pressione dovuta all’inarrestabile flusso di migranti e, soprattutto, forte dell’esperienza positiva maturata nel periodo precedente, la Cadore Scs, dal mese di maggio 2015, ha visto aumentare il numero di prese in carico di richiedenti asilo, che dalla decina iniziale ha raggiunto ad aprile 2016 le 34 unità. «Attualmente la “famiglia” è cresciuta: siamo a 57 unità», precisa Valmassoi.
Nell’ultimo biennio si è provveduto anche all’apertura di nuove strutture, dislocate su Comuni del Cadore precedentemente non interessati nel progetto, coinvolgendo non solo altre amministrazioni locali, ma anche la Diocesi di Belluno, avendo quest’ultima generosamente concesso in comodato d’uso un suo ex convento.
Le strutture ricettive attive sono una casa singola a Valle di Cadore (capacità ricettiva 5-6 persone), l’ex convento (18-20 persone) e un appartamento (3-4) a Pieve, un appartamento a Domegge (4-5) «e, mentre è stata chiusa la piccola struttura di Perarolo, ne abbiamo aperte due nuove: a Lozzo (6 ospiti) e Santo Stefano (8 ospiti)».
Nelle diverse strutture, per quanto possibile, si è cercato di favorire la convivenza tra gli ospiti creando gruppi omogenei per lingua ed etnia. Inoltre, la Cadore Scs continua a facilitare la massima autonomia da parte degli ospiti per quanto riguarda la gestione dei pasti, delle pulizie, della lavanderia.
Le esperienze passate avevano visto la Cooperativa ospitare solamente giovani uomini provenienti dalle zone sub-sahariane. Dal giugno 2015 invece, hanno cominciato a presentarsi delle situazioni meno omogenee. Per alcuni mesi la Cadore Scs si è presi in carico tre coppie di coniugi e si è anche assistito alla nascita di un bebè, avvenuta nel settembre 2015. Inoltre, dall’estate 2015 sono ospitate anche persone provenienti dal continente asiatico, come ad esempio cittadini afghani, bangladesi e pakistani.
Per favorire l’integrazione sono stati organizzati incontri di discussione con lo psicologo della Cooperativa e da settembre 2015 gli ospiti possono usufruire dell’ausilio della figura della mediatrice culturale. Non sono mancati i corsi di lingua italiana: tutti i richiedenti asilo hanno potuto seguirli sin dai primi giorni del loro arrivo. Da non dimenticare, solo per citare alcuni degli altri progetti, le attività di volontariato (come sfalcio dei prati e pulizia delle strade); alcuni allenamenti e una partita amichevole grazie all’associazione sportiva Fc Cadore 1919; l’incontro “Human: Accoglienza, diritti e futuro”, a marzo 2016; l’impiego di cinque richiedenti protezione internazionale nel progetto di coltivazione del carciofo di montagna, “SIMBIorti”.