15 LUGLIO COME VORREI LA SANITA' IN MONTAGNA
PIEVE DI CADORE
Pur non essendo un tecnico, medico o amministratore, seguo dal 1978 i problemi della Sanità in Cadore e Cortina. Prima come donatore di sangue, poi come giornalista. Insieme all'ingegner Renzo Andrich, al sindaco di Pieve Luigi Canaider e all'allora presidente della ULSS1 Cadore, Alfredo Comis, abbiamo dato il via alla realizzazione della RSA Marmarole. Per questo
dopo il Convegno Sanità del 24 giugno al COSMO di Pieve di Cadore, ritengo sia opportuno portare un contributo “realistico” sulla Sanità in Provincia di Belluno, passando dalle prospettive ideali del dottor Luciano Flor, alla situazione della Sanità Veneta sul terreno. Non solo concernente la situazione attuale, ma, come ho sempre fatto in passato, in funzione del futuro. Ho appreso con interesse le linee futuristiche del responsabile regionale della Sanità e del Sociale, Luciano Flor, che ha illustrato il programma che dovrebbe coinvolgere negli anni a venire l'intero mondo della Sanità, con, non solo le strutture collegate in rete, ma con le diramazioni della rete sul territorio, nei Distretti Sanitari e nelle abitazioni completamente digitalizzati e raggiungibili 24 ore su 24.
Oggi non è così: cosa dovrebbe essere fatto perché lo diventi
Il reale problema della Sanità in montagna – non solo in Cadore e Ampezzo- non riguarda le strutture che sono moderne e anche attrezzate in quasi tutti gli ospedali bellunesi. E' evidente che le apparecchiature più moderne e costantemente aggiornate potranno essere presenti solamente nei maggiori centri ospedalieri, dove il loro costo di acquisto e gestione potrà essere compensato solo da un elevato numero di fruitori provenienti da un territorio tanto vasto e popolato da giustificare la gestione dei macchinari e del personale altamente specializzato.
Le strutture attuali, oggi, come gli ospedali di Pieve di Cadore, di Agordo e Auronzo che dovrebbero risolvere le urgenze, spesso sono delle scatole vuote e spesso inutilizzate. La Regione in questi anni ha investito milioni di €uro per nuove strutture- vedi ad esempio, Ginecologia e reparto nascite a Pieve: bellissime, ma che poco dopo la loro inaugurazione sono state chiuse e i servizi spostati a Belluno. Certo sono mancati i parti, ma per scelta dirigenziale, perché alcuni di questi sono stati dirottati dalla stessa organizzazione ospedaliera a Belluno, convincendo le gestanti a frequentare i corsi pre-parto al San Martino, quando a Pieve esistevano ostetriche e medici in grado di dare il servizio. Come conseguenza anche il parto avviene così a Belluno, Feltre e fino a ieri a San Candido. A parte questi particolari che oltre a lasciare senza servizi indispensabili la montagna, hanno comportato degli sprechi ingenti per la Sanità Regionale vanificando gli investimenti fatti solo per rispondere alle proteste degli abitanti, ben sapendo che non sarebbero stati gestibili negli anni successivi per di decisioni prese dalla stessa Regione. E' evidente che si tratta di una programmazione errata a livello centrale che sarà necessario dimenticare e partire con una nuova programmazione, particolarmente importante per i piccoli centri di montagna, al centro della quale ci sia l'accessibilità ai servizi da parte di tutti gli ammalati e medici di base raggiungibili in qualsiasi momento. Oggi gli ambulatori degli ospedali di Pieve e Agordo, spesso sono vuoti perché molti servizi sono stati delocalizzati. Oggi anche per la medicazione di un arto infortunato è necessario andare a Belluno, mentre per alcune iniezioni gli utenti del Cadore e Cortina sono obbligati ad andare ad Agordo, percorrendo oltre 170 chilometri tra andata e ritorno su strade disagiate e non sicure con tempi di percorrenza molto dilatati anche dai cantieri aperti. Perché, allora non sarebbe possibile affidare a medici di base gli ambulatori vuoti o poco utilizzati per assistere i loro pazienti?
E qui viene il problema: innanzitutto è necessario stabilire se sono gli ammalati ad aver bisogno di una Sanità moderna ed efficiente, oppure se sono le strutture che per motivi di prestigio propongono strutture di alto livello, ma centralizzate e non vicine alla realtà periferiche nella quale operano. Nel primo caso, la Sanità in montagna potrà diventare anche la
migliore del mondo, ma il suo livello nel giudizio dei cittadini rimarrà sempre molto basso e se vorrà essere credibile dovrà essere ripensata ed essere organizzata in modo di rispondere alle esigenze degli ammalati. Quindi alla base di una sanità efficiente e in grado di soddisfare le esigenze degli ammalati che chiedono visite ed esami, è indispensabile ci sia una viabilità veloce e non costosa. Non è più accettabile che persone che necessitano di visite o esami clinici, abbiano da sopportare i costi attuali necessari per raggiungere gli ambulatori e le strutture per ottenerli.
Lo ha riconosciuto anche Luciano Gallo coordinatore del Green Deal Cadore 2030 nella sua relazione nella quale afferma che è indispensabile un ospedale pubblico di montagna con delle specializzazioni caratteristiche per le zone di montagna.
Inoltre dovrebbero ritornare negli ospedali periferici tutti quei servizi che oggi sono stati spostati a Belluno e invece potrebbero essere fatti in periferia. Infine c'è il problema dell'accesso ai servizi che hanno costi insopportabili per gli utenti: è sufficiente una considerazione: come può fare una famiglia di pensionati, ad accedere ai servizi distanti decine o centinaia di chilometri dalla propria residenza e chi e con quale mezzo potrà andarci? Sarà indispensabile che i Comuni o la stessa Ulss di riferimento rimborsino le spese di viaggio agli ammalati e ai pazienti che si recano lontano pur avendo gli ambulatori inutilizzati vicini a casa per decisioni prese dalla Sanità regionale. Quì si apre il capitolo volontariato che la pandemia ha fatto emergere in tutta la sua gravità: l'accompagnamento degli ammalati all'ospedale e il ritorno a casa propria. Le associazioni e i circoli che sino a ieri hanno assolto con onore e sacrifici questa incombenza, non sono più in grado di farlo e quindi quei servizi vanno fatti da personale retribuito e senza spese per i trasportati. Infine, esiste anche il problema dell'assistenza domiciliare degli ammalati lungodegenti. Alla famiglia d'origine che vuole assistere un famigliare infermo, deve essere data l'opportunità di poter accedere ad una struttura vicina a casa per poter continuare a lavorare e nello stesso tempo garantire al famigliare un'assistenza adeguata alla sua posizione sociale.
Su questa posizione si è più volte espresso anche l'arcidiacono del Cadore monsignor Diego Soravia, che anche sul numero estivo del
bollettino Sentieri, afferma , rivolto a ai suoi concittadini, che “ Dobbiamo farci sentire. Le idee le abbiamo, facciamole valere con dignità. Abitare tra queste crode è un valore: dobbiamo crederci noi per primi. Dobbiamo gettarci dentro questa realtà cercando con forza e coraggio di far emergere la potenzialità del nostro territorio, proteggendolo e facendolo rivivere per stare bene tutti insieme dove ci piace stare. Difendendo la sanità pubblica, difendiamo noi stessi, il nostro territorio con le sempre più scarse strutture. Certo è che in montagna la vita costa, non è gradita dagli specialisti se non per brevi e tonificanti vacanze. Ma noi ci abitiamo tutto l'anno e non è giusto che scendiamo a Belluno per una visita medica o per un controllo. I malati, i parenti e i curanti hanno bisogno di maggior attenzione da parte dello Stato. La pandemia dei mesi scorsi ha accentuato i disagi della gente di montagna: ad esempio l'impatto che ha avuto il Covid sulla salute mentale è preoccupante. La violenza tra gli adolescenti è un segnale pericoloso e intanto si chiudono gli impianti e i centri d'ascolto. Noi che abitiamo “lassù”, come ci ha definiti un amministratore veneto, chiediamo una maggiore tutela del diritto alla salute per tutti e ai servizi dovuti a chi vive le difficoltà delle terre alte. Perché, ad esempio, non si riesce a ripristinate il servizio di urgenza ed emergenza medica nei nostri ospedali? La salute va al di là della logica dei partiti, è un bene di tutti e chiede l'attenzione di chi orienta le scelte del territorio”.
VITTORE DORO



